venerdì 27 agosto 2010

ironia


L'ironia è una delle parole che vengono usate più a sproposito, dalla maggior parte delle persone, attribuendo al termine in questione significati molto lontani da quello corretto. L'ironia non è, ad esempio, un sinonimo di "singolare e in qualche modo buffa coincidenza" ("ehi, si chiama Bassi di cognome ed è davvero basso, che ironia!"). Una coincidenza potrebbe essere considerata ironica, al massimo, quando vi è un certo contrasto fra i due elementi (mi chiamo Bassi, ma sono alto due metri e venti centimetri). Non è nemmeno una parola che si usa per significare del genericissimo umorismo di qualsiasi tipo.
L'ironia, semplicemente, è una figura retorica consistente nell'affermare una cosa intendendo però l'esatto contrario. Se ad esempio vedo Monica Bellucci in tv e dico "ma guarda che cesso a pedali" sto facendo dell'ironia, perché quel che voglio dire è che Monica Bellucci non è affatto una brutta donna.
Solo che è importante distinguere l'ironia dalla bugia, o dall'inganno. Se uno mi chiede al telefono come sto e io rispondo che sto malissimo, anche se in realtà mi sento bene, magari perché non ho voglia di uscire con lui e vederlo, non sto facendo dell'ironia, ma sto semplicemente mentendo.
Esteriormente la differenza è difficile da cogliere, una frase ironica e una menzogna sono formalmente indistinguibili, se non per una certa intonazione della voce che può aiutare a cogliere il senso dell'enunciato. Quello che conta, comunque, è l'intenzione. Siccome nell'ironia non c'è la volontà di trarre in inganno nessuno, di solito viene usata in contesti nei quali è difficile che uno venga davvero tratto in inganno.
Per esempio, nel caso di Monica Bellucci, è evidente a chiunque stia guardando la televisione insieme a me che la Bellucci è un gran bel pezzo di donna (per aggiungere dell'altra perfida ironia, potrei dire anche "ma almeno quando parla si capisce che è molto intelligente") e quindi costui può comprendere che non posso essere serio. Invece l'altro mio interlocutore al telefono non può sapere come io sto effettivamente, e quindi anche se volessi fare dell'ironia fallirei perché costui non avrebbe il modo di coglierla.
L'ironia è quindi un atteggiamento epistemologicamente raffinato, un modo abbastanza contorto e complicato per dire una cosa. Se voglio dire che Monica Bellucci è bella, perché non dico direttamente che è bella, invece di dire che è un cesso, rischiando anche di non essere compreso e di essere scambiato per uno che non apprezza le belle donne? Beh, tralasciando la povertà dell'esempio, lo scopo è probabilmente umoristico, e anche se questo lascia aperta la questione, ancora più complessa, di cosa sia l'umorismo.
Comunque l'ironia, per quanto spesso aggressiva, è una cosa abbastanza apprezzata in società, e a volte è anche un modo per stemperare le tensioni. Se dite una cosa che è risultata essere particolarmente fastidiosa, potete sempre cavarvela dicendo "ma io ero ironico". "Sei una lurida testa di cazzo", "Come ti permetti?", "Ero ironico", "LOL". "Penso che voterò Lega", "Voglio il divorzio", "Ero ironico", "Ti amo".
È anche un modo far farsi passare per persone intelligenti, specialmente nella versione, particolarmente apprezzata, detta "autoironia", che consiste nell'assumere atteggiamenti di disprezzo nei propri confronti, per significare che invece si è dei geni (oppure di autoesaltazione, dire di essere bellissimi per significare che si è brutti, ma sempre per far capire di essere ironici e quindi intellgenti). Cioè dire ironicamente di essere scemi, per qualche misterioso motivo, aumenta le possibilità di essere considerati intelligenti, molto più che dicendo di essere intelligenti e basta (il che spesso è anzi controproducente).
L'autorità suprema, in fatto di ironia e autoironia, è il filosofo greco Socrate, che ad esempio diceva spesso di essere ignorante, ma in realtà si considerava una persona molto saggia, e infatti proprio il suo "so di non sapere" è considerato un esempio di grande saggezza. Per questo, al posto del termine "ironia", si usa spesso anche "ironia socratica".
Però c'è un piccolo problema. Il fatto è che, sebbene il termine "ironia" sia attestato negli scritti platonici, e proprio in riferimento a Socrate, ai tempi di Socrate quel termine non significava affatto la stessa cosa che significa oggi. In effetti, εἰρωνεία significava proprio "falsità", "ipocrisia". Quindi gli interlocutori di Socrate, a una lettura attenta, non stavano complimentandosi con lui per la sua ironia, bensì gli stavano dando del falso e dell'ipocrita.
Gregory Vlastos, nel suo bel saggio su Socrate, sostiene che probabilmente il termine aveva anche un significato secondario, più vicino a quello odierno, e che poi sarebbe diventato l'accezione più popolare del termine, oscurando il significato primario, proprio grazie a Socrate. Perché se è vero che gli avversari di Socrate lo accusano di fare dell'ironia, intendendo con ciò qualcosa di negativo, e non esattamente un complimento, è anche vero che Socrate non li sta esattamente ingannando.
Quella di Socrate però non è nemmeno ironia nel senso moderno della parola, perché è anche vero, come il fastidio provato dai suoi interlocutori dimostra, che vi è un elemento di dissimulazione nel suo atteggiamento. Se fosse davvero ironia nell'uso contemporaneo, sarebbe un cattivo uso di ironia, perché continuamente fraintesa e non capita. Come uno che vuol fare lo spiritoso ma che si trova appunto costretto a spiegare continuamente le sue battute ("scusate, ero ironico").
Ovviamente, l'ironia di Socrate è molto più destabilizzante di quella odierna, proprio perché non sempre si capisce. Vlastos la definisce "ironia complessa". In sostanza, si tratta di dire una cosa, non intendendo l'esatto contrario, ma intendendo proprio quel che si dice, solo in un senso diverso da quello più immediatamente letterale e comprensibile.
Per esempio, quando Socrate afferma di essere ignorante, pregando i suoi interlocutori di illuminarlo su qualche aspetto della conoscenza, non sarebbe esatto dire che questa è una figura retorica per cui Socrate sta in realtà affermando di essere sapiente. Socrate si considera davvero un ignorante, uno che non sa. Però invita a considerare la sua ignoranza sotto un altro aspetto, positivo, a considerarla una forma di conoscenza, più profonda della conoscenza nozionistica e superficiale dei sofisti.
Analogamente, quando in un famoso passo del Simposio (quello di Senofonte, non quello di Platone), sostiene di poter vincere un concorso di bellezza con un avvenente giovanotto, nonostante avesse fama di essere bruttissimo, non è semplicemente perché faccia dell'umorismo, o della (argh) autoironia. Egli in realtà ci invita a riconsiderare i concetti di bellezza e bruttezza, e a vederli sotto nuove e inedite angolazioni. Ci sta dicendo, per chi vuole capirlo, che esiste un tipo di bellezza più importante di quella del corpo.
SOCRATE. Pensi forse che la bellezza si dia solo nell'uomo, o anche in qualche altro essere?
CRITOBULO. Io credo che la si possa trovare anche in un cavallo o in un bue ed in molte cose inanimate. Ad esempio io riconosco come bello uno scudo, una spada o una lancia.
S. E come è possibile mai che possano essere belle tante cose differenti e prive di alcuna relazione l'una con l'altra?
C. Perché, se questi oggetti sono stati fabbricati in modo opportuno per gli scopi per i quali noi li acquistiamo, oppure sono adatti per natura ai nostri bisogni, allora questi oggetti io li chiamo belli nei vari casi.
S. Bene; dunque gli occhi a che ci servono?
C. Ovviamente, per vedere.
S. Allora è bell'e dimostrato che i miei occhi sono più belli dei tuoi. Perché mai? Perché i tuoi vedono soltanto quello che ti sta di fronte, mentre i miei sporgono in fuori in modo tale che io posso vedere anche quanto mi sta di fianco non meno di quello che ho di fronte.
C. Vuoi dire che il granchio è l'animale che ha gli occhi più belli?
S. Per l'appunto, perché dal punto di vista dell'efficacia, i suoi occhi sono quelli meglio concepiti dalla natura.
C. E va bene; ma quale dei nostri due nasi è il più bello?
S. Il mio, direi, se è vero che gli dei ci hanno dato le narici per cogliere gli odori, dato che le tue sono rivolte a terra, mentre le mie sono belle larghe così da recepire gli odori da ogni parte.
C. Ma in che modo un naso camuso puà essere più bello di uno diritto?
S. Perché non costituisce alcun ostacolo, bensì permette agli occhi di vedere quello che vogliono, mentre un dorso di naso più alto ne ostruisce la visuale come per dispetto.
C. Lo stesso varrà anche per la bocca, te lo concedo fin da ora, perché se la bocca è fatta per mordere, tu puoi dare morsi molto più grandi dei miei.
S. Poi, con le mie labbra grosse, non pensi che io riesca a dare baci assai più morbidi?
C. A darti ascolto, io avrei una bocca più brutta che gli asini.
S. Non è questo, allora, un altro motivo per cui io sono più bello di te? Le Naiadi, che sono dee, generano quei Sileni che assomigliano molto più a me che a te.
C. Non so più in che modo replicare. Si metta pure ai voti per decidere subito che cosa devo fare o che multa devo pagare.

Socrate, al giorno d'oggi, se facesse la sua comparsa su un social network, non sarebbe considerato una persona ironica. L'ironia oggi è qualcosa di innocuo, di non dirompente, che non fa arrabbiare e non fa riflettere. Socrate invece faceva talmente arrabbiare i suoi contemporanei che alla fine l'hanno dovuto ammazzare per toglierselo di torno. La parola giusta per Socrate non è "ironico" ma un'altra. Socrate oggi sarebbe un fake.

domenica 15 agosto 2010

falsità convenzionali


L'immagine è solo marginalmente correlata all'articolo, ma è stata scattata appositamente per me dalla mia amica Elisa Gianola (diritti riservati), quindi se non vi piace l'articolo ma vi piace la foto siete pregati di votarmi lo stesso per il Macchianera Blog Award.

In attesa che l'epidemiologia delle credenze diventi una disciplina vera e propria credo che si possano identificare alcuni schemi fissi, alcuni motivi ricorrenti, dietro al fascino di certe leggende urbane, di certi miti diffusi spesso anche nel mondo accademico.
Oggi non parlerò di teorie cospirazioniste, che nel loro delirio abbisognano di spiegazioni a parte. Il fatto è che tutti (ma in particolare, lo devo riconoscere, coloro che hanno a che fare con discipline umanistiche e filosofiche) abbiamo avuto esperienza di teorie palesemente assurde che però diventano misteriosamente mainstream e quasi universalmente accettate, ovvero con le "falsità convenzionali". Credo che il fascino di certe credenze e il motivo della loro diffusione risieda proprio in questo, nel nostro amore (spesso fruttuoso) per i paradossi: è difficile resistere a una teoria che va contro ogni nostra intuizione ma che è anche profondamente ricca di implicazioni, e che quindi ci fa vedere il mondo in una luce diversa.
L'esempio più chiaro che mi viene in mente è la teoria psicanalitica di Freud. La psicanalisi ha cambiato il mondo, non ci sono dubbi sul suo grande impatto sulla cultura contemporanea, ma c'è un solo piccolo problema: è empiricamente falsa, in quanto ognuno di noi può testimoniare che mai gli è passato per l'anticamera del cervello di fare l'amore con la propria madre. Freud naturalmente risponderebbe subito che proprio la ripulsa che proviamo per l'incesto è segno della censura operata dal superego sui nostri desideri inconsci, il che è solo una spiegazione ad hoc (un classico "testa vinco io, croce perdi tu"), solo con questa semplice mossa ci ha già fregati, perché per non passare per bigotti siamo costretti a considerare l'idea, a esplorarne tutte le implicazioni: alcuni tasselli che compongono la nostra visione del mondo vengono spostati per fare qualche tentativo, finché a un certo punto non scatta qualcosa nella testa che ci dice "ehi, ma questa è una figata! sarebbe pazzesco se fosse davvero così, perché non ci ho pensato prima?".
I filosofi in particolare, dicevo, amano stupire il prossimo con ragionamenti paradossali, la cui accettazione più o meno supina dipende dal prestigio di cui gode il filosofo o più in generale dallo zeitgeist: non ci siamo ancora liberati del tutto, e forse non ci libereremo mai, dai wittgensteiniani, gente convinta che pure quando stiamo sulla tazza del cesso quel che facciamo, in realtà, è "gioco linguistico", per non parlare dei decostruzionisti, i quali credono che qualsiasi testo, comprese le istruzioni per il montaggio dei mobili Ikea, non parli in realtà di nient'altro che di se stesso, vanificando da solo ogni pretesa di riferirsi ad altro fuori da sé (è per questo che ce ne serviamo, no?).
Ciò che di solito spinge i filosofi, però, è davvero l'amore del paradosso per il gusto del paradosso mentre le cose diventano un po' più complicate per quanto riguarda il terreno della psicologia o della sociologia, dove le considerazioni ideologiche e talvolta il mero wishful thinking collaborano sovente alla distorsione della realtà. È del tutto illusorio aspettarsi di trovare, nei manuali ad uso delle scuole, una descrizione realistica del funzionamento delle nostre società o delle pulsioni che spingono gli individui ad agire in determinati modi: c'è scritto solo quello che la gente vuole sentirsi dire, hanno una funzione perlopiù consolatoria.
Un esempio sul quale mi è capitato di discutere recentemente è il fenomeno del bullismo. Fino a qualche tempo fa la descrizione più ricorrente del fenomeno (ancora popolare tra i non specialisti) tratteggiava la figura del bullo, violento e aggressivo, come motivata da una scarsa considerazione di se stesso, una bassa autostima e una personalità fragile e insicura. Le ricerche più recenti hanno messo in luce come a questa teoria manchi un qualsiasi supporto empirico (l'evidenza conduce piuttosto alla conclusione opposta, ovvero che i bulli hanno un'alta considerazione di sé e pochissima per gli altri, e proprio per questo tendono ad essere violenti) ma quello che dovrebbe sorprendere, in primo luogo, è che qualcuno abbia mai potuto pensare una cosa del genere, e che sia stato pure ascoltato.
Perché mai chi sfrutta la propria superiorità fisica per vessare gli altri, avendo pure successo e traendo conferme dal proprio atteggiamento, dovrebbe sentirsi insicuro? Davvero si pensa che, fra carnefice e vittima, quello che sta male sia il carnefice? Ma la cura dell'autostima sembra essere diventata la panacea di tutti i mali, non solo del bullismo. Qualcuno forse è convinto che dare lezioni di autostima a Totò Riina aiuterebbe a risolvere il problema della criminalità organizzata.
Passiamo ad altro mito psico-pedagogico, tuttora insegnato: la teoria dell'attaccamento di Bowlby (la più popolare sul rapporto madre-figlio, dopo Freud). I primi mesi di vita, sostiene Bowlby, sono fondamentali perché i comportamenti relazionali futuri dipendono dalla qualità dell'attaccamento alla madre, che dipende dalla sua sua sensibilità e disponibilità. Se l'attaccamento è insicuro tutti i rapporti costruiti in futuro con altre personalità saranno caratterizzati da fragilità e instabilità emotiva, mentre se si stabilisce una relazione di attaccamento adeguata (se il bambino riceve abbastanza protezione, senso di sicurezza, e affetto dalla figura di riferimento) avremo uno sviluppo ottimale della personalità. Per farla breve, è la teoria: "poveretto, si vede che ha i genitori separati".
Peccato che Bowlby non abbia pensato a verificare se il comportamento tenuto dai bambini nell'ambiente familiare avesse qualche correlazione con quello tenuto nell'ambiente scolastico o dei propri compagni di gioco, o controllare che tali modelli perdurassero nell'età adulta. Perché si dà il caso che, escludendo le variabili genetiche (i figli tendono ad assomigliare ai genitori) non vi sia alcuna correlazione. Ma per questo non c'era bisogno di fare delle ricerche, anche se è bene non fidarsi delle impressioni personali. Ad esempio, basta considerare a quanti è capitato di incontrare il classico angioletto bene educato che è la gioia dei genitori, il quale si trasforma in una psicopatica creatura lovecraftiana dall'immenso potere distruttore non appena è fuori dalla loro portata. Le persone si adattano all'ambiente che trovano, e non avrebbe alcun senso, ai fini della sopravvivenza, ricopiare pedissequamente i modelli comportamentali appresi in un contesto per riprodurli ovunque. La teoria dell'attaccamento non ha altra funzione che quella di individuare facilmente i responsabili di un cattivo esito educativo.
Continuando, secondo Gregory Bateson la schizofrenia è un effetto del "doppio vincolo", ovvero di messaggi ambigui. Ovvero, se insistete a dare messaggi contraddittori ai vostri pargoli, quelli rischiano di diventare schizofrenici. Esempio (tratto dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche): "la madre torna a casa carica di pacchi della spesa […] il figlio di sei anni le si fa incontro, pronto ad abbracciarla. La madre gli dice: 'Abbracciami, perché non mi abbracci?', mentre invece questo evidentemente è impossibile, dato che ha in mano i pacchetti". Miseriaccia, l'avreste mai detto che un incidente così banale può portare a una cosa seria come la schizofrenia?
A proposito di Freud, oltre al complesso di Edipo, si potrebbero citare altre amenità, come l'invidia del pene, che fanno tanto arrabbiare le femministe, salvo che le femministe hanno poco da gioire perché sono fra le principali responsabili della diffusione di teorie non meno assurde di quelle freudiane. Una delle mie preferite è quella della diffusione delle società matriarcali anteriori, in età paleolitica, al presente patriarcato, oppressivo e maschilista e ovviamente responsabile di tutte le guerre e le violenze. Classico esempio di evidenza che va tutta da un parte (conoscete molte società matriarcali, voi?) e teoria che va nella direzione opposta (il matriarcato è il vero stato "naturale" dell'umanità).
Molte femministe, poi, sono anche convinte che la nostra attuale società occidentale sia "particolarmente" oppressiva per loro, e anche questo, non c'è bisogno di dirlo, va contro ogni evidenza. Le società che opprimono la donna, è banale ma vale la pena ricordarlo, non sono quelle con i manifesti pubblicitari e le donne nude attaccate ovunque, ma quelle dove le donne nude non si vedono proprio mai (qualsiasi giudizio si voglia dare sul buon gusto di certe immagini). E quelle sono anche le società dove si consumano più spesso le violenze contro le donne. Solo che non vogliamo sentircelo dire, forse perché in tal modo ci verrebbe a mancare un capro espiatorio (che non sia la natura umana) per quelle violenze che ancora avvengono.
La rassegna finisce qui perché altrimenti divento troppo polemico, e io non ce l'ho con nessuno. Riflettevo sulla possibile utilità di certe teorie, perché la storia naturalmente offre anche mirabili esempi di teorie del tutto controintuitive rivelatesi giuste: la teoria copernicana ci dice che il Sole è fermo, contro le apparenze, ed è la Terra a muoversi ad altissima velocità nonostante noi non ci accorgiamo di nulla. E i persino i continenti si muovono, avvicinandosi e allontanandosi l'uno dall'altro, grazie a forze che facciamo fatica a immaginare (cosa può spostare un continente?).
Però Galileo e Wegener non avevano incontrato da subito il plauso incondizionato della comunità scientifica. Tutto al contrario, come sappiamo. Questo non è mica un male, nonostante le modalità meschine con cui si è cercato di mettere Galileo a tacere: le teorie scientifiche innovative devono essere criticate, anche a costo di fare la figura dei vecchi conservatori, in modo da permetterci di capire quali hanno davvero speranze e quali sono semplice fuffa. Oggi che tutti vorrebbero essere dei rivoluzionari, il problema della scienza è quello di proteggersi dai Galileo, ed evitare quindi di abbracciare qualsiasi sciocchezza solo perché in contrasto col sapere tramandato e addirittura col buon senso (penso all'omeopatia, penso al creazionismo). O magari perché è conveniente da un punto di vista politico.